Blog

Un pensiero di cambiamento o un cambiamento del pensiero?

  |   Consulenza

Dopo un anno di pandemia, oggi c’è più apertura al cambiamento. Si cercano nuovi modi di lavorare, si punta a utilizzare di più (e meglio) la tecnologia, si prendono in considerazione diversi modelli di leadership. L’obiettivo finale? Creare vicinanza, empatia e collaborazione. 

Il Change Management è l’insieme delle attività strutturate per la gestione del cambiamento in azienda. Si tratta di un percorso articolato e complesso, perché ha un forte impatto sulle abitudini delle persone, che per loro natura mostrano sempre una certa resistenza al cambiamento. Gestire l’aspetto umano, che significa accompagnare le persone verso nuovi obiettivi e consuetudini, risulta quindi l’aspetto più delicato.

PIÙ APERTURA AL CAMBIAMENTO 

Il dato più innovativo che emerge dalla survey 2020, condotta da Assochange, è una maggiore propensione ad aderire ai progetti di cambiamento introdotti in azienda. Con la pandemia, infatti, è salita la percentuale di chi partecipa con apertura, disponibilità e spirito costruttivo: è quasi un lavoratore su due (49%), mentre l’anno scorso era il 40%. Nel frattempo, arriva al 10% il numero di persone ingaggiate, propositive e proattive nelle iniziative di cambiamento (7% nel 2019). Così, nel complesso, salgono al 59% le persone che affrontano il cambiamento con spirito costruttivo (43% nel 2019). Scende invece al 39% il numero di quelle che, “solo” se attivate, partecipano ai progetti, con un atteggiamento più di accettazione che di partecipazione (47% nel 2019). In pratica, oggi un lavoratore su 3 comprende che il cambiamento è urgente, improcrastinabile ed è una condizione necessaria perché l’azienda possa continuare a competere sul mercato. Mentre ci credeva solo uno su 4 nel 2019, quando il 14% pensava anche che cambiare non fosse prioritario per il business, mentre nel 2020 lo pensa solo il 4%.

UNO SPUNTO DI RIFLESSIONE 

«La maggiore apertura al cambiamento, a partire dall’inizio della pandemia, dimostra che è stata compresa la necessità di realizzare nuovi modelli organizzativi e strumenti di lavoro. Ora il management non deve perdere questa opportunità di valorizzare la maggiore disponibilità a cambiare, favorendo l’engagement dei propri collaboratori», raccomanda Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

L’ANALISI

Cosa genera cambiamenti tali in azienda da giustificare un processo di change management strutturato?

  1. Il passaggio generazionale: Tanto nella vita personale quanto in quella collettiva, la sfida più difficile di fronte alla necessità del cambiamento è quella di abbandonare le cose che in passato ci hanno reso felici, ma che a un certo punto sono diventate una zavorra per l’inevitabile fluire della vita. Il modello dell’impresa familiare, in cui il carisma dell’imprenditore fondatore finisce per scontrarsi fatalmente con le difficoltà di un passaggio generazionale che non sempre può svilupparsi all’interno della famiglia, non fa eccezione rispetto a questa regola.Si tratta di un modello che tanto ha dato al nostro Paese, al miracolo economico del secondo dopoguerra, alla fortuna dei nostri distretti industriali e alla loro capacità di traghettare una sapienza artigianale unica al mondo verso un modello di sviluppo che ha fatto dell’Italia la seconda economia manifatturiera dell’Europa. Piaccia o no, i limiti di quel modello e il bisogno di una sua evoluzione erano già evidenti prima della crisi economica e sociale innescata dalla pandemia, ma il Covid-19 ha accelerato la necessita del cambiamento. Le difficoltà del passaggio generazionale e del rinnovamento dell’impresa familiare si nutrono di trappole cognitive che finiscono spesso per avere un peso decisivo, un peso di sicuro non minore rispetto a quello di altri elementi ricordati di solito nella letteratura sull’argomento: dai ritardi culturali della nostra imprenditoria all’assenza di competenze manageriali o alla scarsa esposizione verso modelli innovativi di organizzazione aziendale. L’imprenditore carismatico, che ha fondato se non un impero almeno un piccolo regno aziendale, fa fatica ad accettare che quel regno non resti in famiglia. Se i figli non ne vogliono sapere, passata la fase del rifiuto e della delusione, si prova sì a solcare altre strade, ma – in una sorta di dissonanza cognitiva alla rovescia – resta il retropensiero che quelle strade, quei nuovi manager, quei nuovi finanziatori o quelle nuove forme di partecipazione, non siano mai all’altezza del paradiso perduto, dei figli che prendono il posto del fondatore in tutto e per tutto. Se invece i figli entrano, coronando il sogno di una vita, per la stessa trappola cognitiva, si fa fatica a vedere che il loro ingresso dovrebbe essere accompagnato da un cambio di paradigma, aprendosi ugualmente ad altri apporti, altre competenze, altre strutture di governance aziendale. L’imprenditore carismatico, purtroppo, non si accontenta di tramandare un brand o un’azienda, vuole tramandare una vita, la sua.
    .
  2. Le sfide imprescindibili della digitalizzazione e sostenibilità ambientale. La sfida per r-innovare il family business all’italiana non è un tema che parla solo alle aziende ma a tutto il Paese. L’Italia rischia di pagare un prezzo più alto di altri Paesi di fronte alla crisi pandemica, per colpa del nostro debito pubblico e dei ritardi strutturali della nostra pubblica amministrazione, ma anche perché abbiamo un tessuto produttivo sottodimensionato e sottocapitalizzato, che esce da decenni di stagnazione della produttività e degli investimenti. Dobbiamo ritrovare la strada della crescita, facendo in modo che la rivoluzione digitale e la transizione ecologica si trasformino da vincoli in opportunità.
    .
  3. La globalizzazione e le filiere che si allungano. Dobbiamo giocare non solo in difesa, facendoci carico delle crisi aziendali aperte, ma in attacco. I nostri distretti industriali devono cambiare pelle. Servono filiere lunghe, più lunghe che in passato, che portino le nostre imprese fuori dalla loro realtà distrettuale e anche dall’Italia, non solo per vendere, ma per fare innovazione tecnologica, finanza per la crescita, alleanze industriali, ricerca. Anche le piccole e medie imprese possono agganciare il treno dell’innovazione digitale e trovare finanziamenti innovativi, senza snaturare, anzi valorizzando la loro capacità di creare prodotti di una bellezza unica, come facciamo da secoli noi italiani, creando valore e occupazione all’ombra dei nostri campanili. Che cosa vuol dire costruire filiere lunghe? Che i soldi può darteli un fondo californiano, non solo la banca locale. Che lo sviluppo del software non deve fartelo per forza il cognato del tuo amico del liceo che prima faceva l’assicuratore, ma una start-up milanese che te lo disegna su misura usando economie di scala che a Milano ci sono e nel tuo territorio no. Per farlo serve aprirsi a nuove idee e competenze.
    .
  4. Ai 3 impulsi appena descritti è utile aggiungere tutta una casistica di spinte interne, non necessariamente sviluppate da fonti esterne e quindi, in un certo senso inevitabili. Il passaggio generazionale, che è conseguenza dell’ineluttabile scorrere del tempo, così come l’innovazione, l’evoluzione del mercato fino ad eventi imprevedibili come pandemie e guerre, rappresentano momenti di cambiamento che impongono un approccio evoluto, non reattivo, ma sicuramente “facilitato” dalla potenza del contesto che lo causano. Diverso è quando la spinta viene da un bisogno personale di modifica nel modello di raccolta dei riconoscimenti: quella che fino a quel momento è stata sufficiente a mantenere e giustificare un dispendio energetico giornaliero nell’affrontare situazioni complesse, diventa improvvisamente o gradualmente una motivazione a modificare a favore di un modello diverso e più “riconoscente”. Questo avviene spesso nelle organizzazioni, in quei momenti in cui la compagine direzionale avverte l’esigenza di una ristrutturazione organizzativa, di riassegnazione di ruoli e di responsabilità; è il momento in cui si chiede di più a tutti, oltre che a sé stesso, perché i risultati raggiunti ormai rappresentano il passato e non sono più garanzia di riconoscimento, non generano più il “carburante” emotivo necessario. In Analisi Transazionale si indica come spinta derivante dallo Stato dell’IO del Bambino Libero, quello che immagina un futuro migliore, anche sognando e sperando che questo magicamente si realizzi. In questo passaggio l’attività di Change Management assume un’importanza fondamentale, nel riportare la dinamica sul piano Adulto, del “qui e ora”, senza disperdere l’entusiasmo, ma concentrando il meccanismo di cambiamento in un modello gestionale Contrattuale, dove la policy del processo sia concentrata sulla fattibilità del percorso, sulla sua giustificazione all’interno del contesto organizzativo fatto di risorse umane ed in linea con gli strumenti che l’organizzazione in quel momento è in grado di utilizzare. È fondamentale che il soggetto del cambiamento sia accompagnato nel processo attraverso un modello che ne renda sostenibile il processo stesso, senza che questo si trasformi in un’esperienza negativa che identifichi nel cambiamento un pericolo e non un’opportunità.

Nel caso di compagini “familiari”, ad esempio, composti da gruppi di figli di imprenditori fondatori, si verifica un bisogno di distacco dal modello iniziale, perché le persone sono diverse e i bisogni sono diversi; la natura delle ambizioni e le caratteristiche delle persone vanno rispettate e costituiscono già di per se un buon motivo di cambiamento; l’errore sta nel non gestire il processo, nell’evitarlo perché complesso e faticoso, non nell’affrontarlo al massimo delle proprie disponibilità e potenzialità.

Vuoi saperne di più su come affrontare il cambiamento in azienda in maniera costruttiva? 

Contattaci ai recapiti: 
Tel. 0736/892375
commerciale@partnerconsul.com