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Siamo sicuri che i leader debbano avere un pessimo carattere?

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Ci si trova spesso di fronte a presunti enigmi del tipo “è preferibile un leader politico (ma la stessa cosa potrebbe dirsi per un amministratore, un manager, un imprenditore) capace o un leader onesto” come se le due caratteristiche fossero incompatibili o comunque difficili da trovare insieme nello stesso individuo. Altro aspetto rilevante è quello legato all’altrettanto presunta difficoltà di combinare un “buon carattere” con la “leaderhsip”, come se le teorie o i principi etici fossero “qualcosa di diverso dalla (cruda) realtà”. Ma è veramente così? E, se sì, perché?

L’esperienza professionale e la vita di tutti ci insegnano che in effetti, se non proprio impossibile, sia raro imbattersi in figure così “belle” da farci esclamare “wow”!, ma per fortuna ogni tanto accade e questo non può che dare nuova linfa ed energia in chi quotidianamente cerca (magari non riuscendoci sempre) di essere “bello e possibile” per parafrasare una nota canzone. Sia nel campo dell’imprenditoria, che nel sociale, scopriamo ogni tanto persone che ci illuminano e ci motivano ad andare avanti (vincendo quei momenti di sconforto in cui si è portati a mollare).

Rispetto alla seconda domanda, ossia perché nella maggior parte dei casi ciò non avvenga, concordo con quanto riportato in un recente articolo pubblicato su IL SOLE 24 ORE (di Alessandro Cravera, pubblicato il 18 novembre 2018), ossia che dipende da due fattori strettamente legati tra loro: da un lato la mancanza di una vision di medio-lungo periodo e, di contro, la ricerca, a volte affannosa ed ossessiva, di risultati di breve e brevissimo periodo (e di corto respiro…) e dall’altro i processi di s-elezione dei “capi”, volti a premiare chi raggiunge (o semplicemente promette) risultati di scarsa portata strategica, chi accontenta tutti e quindi non fa scelte anche antipatiche o dolorose.

La capacità di individuare obiettivi veramente strategici, la chiarezza nel prospettare percorsi anche dolorosi all’inizio e la capacità di coinvolgere i propri “clienti” ( o “azionisti”), dovrebbero invece essere sempre più la bussola per orientare la formazione delle nuove classe dirigente e, dall’altra parte, i criteri di processi di selezione trasparenti e consapevoli.

Fabrizio Luciani